Biografia


Antonio Ranocchia nasce a Marsciano, in provincia di Perugia, il 5 marzo del 1915.

Sin da ragazzo dimostra una spiccata propensione all’arte, in particolare quella plastica, della quale impara le tecniche dallo scultore Pietro Guaitini.

Nel 1930 inizia a frequentare l’Istituto d’Arte “Bernardino di Betto” di Perugia, sotto la direzione dello scultore Benedetto D’Amore, coltivando nel frattempo una proficua amicizia con l’artista Leoncillo Leonardi.

Nel 1934 modella una “Via Crucis” per la Parrocchiale di Marsciano, iniziando da allora la sua vita di scultore.

Nel 1935 ottiene la licenza superiore nella sezione del marmo e della pietra con ottima votazione.

Pur in possesso del diploma di maestro d’arte, che lo abilita all’insegnamento, si perfeziona nella scultura e studia a Firenze gli artisti del passato, soprattutto trecenteschi e rinascimentali.

Dopo essersi prodotto in pubblico con alcune prove minori, nel 1941 partecipa, presentando opere di notevole pregio, alla VII Mostra Sindacale dell’Umbria, allestita a Terni nelle sale del palazzo Carrara ed ottiene in tale mostra il III premio per la sezione scultura.

A partire da questa data, la presenza di Ranocchia a mostre e concorsi si fa costante, inaugurando una serie di partecipazione fisse, come ad esempio quelle alle mostre del Sindacato degli artisti umbri e riportando lusinghieri successi e riconoscimenti.

Con il passare degli anni, lo scultore Ranocchia va via via elaborando una particolare predilezione per i soggetti dell’arte sacra, che costituirà una parte dominante della sua produzione.

Nel 1947 realizza nella chiesa parrocchiale di Marsciano l’altare dedicato alla Madonna Immacolata Concezione, davanti al quale il 26 agosto 1948,  sposa Irma Rengo che rimarrà al suo fianco per tutta la vita preservandone, dopo la sua scomparsa, la memoria storico-artistica.

Nel 1956 partecipa al Concorso per la Porta di bronzo del Duomo di Siena.

Vi sono soprattutto degli appuntamenti ai quali Ranocchia non mancherà di essere regolarmente presente, poiché punti di riferimento di un genere figurativo al quale egli sarà fedele sino agli ultimi anni della sua fervida e fertile attività: le edizioni della Mostra d’arte sacra promosse dall’Associazione UCAI, alla quale è iscritto, e le numerose biennali d’arte sacra a Napoli nel 1950, all’Antoniano di Bologna nel 1954-’56-’60-’62-’64, a Salisburgo nel 1958, a Novara nel 1959, a Perugia nel 1965-‘67 e a Salerno nel 1966.

Nel 1962 riceve la nomina a Accademico di Merito dell’Accademia de “I 500” di Roma, Accademia per le arti, lettere, scienze, cultura.

Nello stesso anno espone a Firenze, presso la galleria Lo Sprone in una collettiva di artisti umbri e nel 1965 è con Maddoli alla Galleria La Fontanella di Roma.

Da ricordare come opere pervase da un profondo misticismo sono  i tre gruppi monumentali della “Via Crucis” al Santuario di Collevalenza, scolpite tra il 1968 e ’69, ed alcuni pezzi esposti alla Pinacoteca della Pro Civitate Christiana di Assisi.

Dal 1968 al 1975 viene invitato a tenere corsi di scultura presso l’Università per Stranieri di Perugia.

La produzione di Ranocchia è tale da raccogliere entusiastici consensi anche al di fuori dei confini nazionali e si evince dalla calorosa accoglienza tributata alle sue personali in terra di Francia: la prima realizzata nell’aprile del 1972 alla galleria Mouffe di Parigi, l’altra nel luglio del medesimo anno, alla galleria Vallombreuse di Biarritz.

Di particolare importanza è la presenza di Ranocchia all’annuale appuntamento del Salon des Artistes Indipéndants al Grand Palais di Parigi a partire dal 1973, alla I Esposizione europea d’arte a Strasburgo nel giugno 1982 e, sempre nello stesso anno, alla VII Biennale europea in Lussemburgo dove consegue il premio internazionale per la scultura.

Nel 1983 partecipa alla rassegna “Primavera d’arte contemporanea” a Bonn e alla edizione successiva del 1984 a Berlino, dove ottiene rispettivamente il premio Stadt e il premio per la scultura..

L’attività espositiva di Ranocchia non si risolve unicamente nella partecipazione a rassegne e concorsi, ma vi affianca anche l’allestimento di personali e di mostre collettive di notevole interesse.

Ranocchia realizza la sua prima personale, nell’aprile 1957, alla saletta Brufani di Perugia, presentando una ventina di opere databili dal 1943 al 1957.

Segue, nel luglio del 1963, una personale allestita durante il VI Festival dei Due Mondi a Spoleto, presso la galleria “Il Triangolo”, dove Ranocchia torna ad esporre nel giugno del 1966, in occasione della IX edizione dello stesso Festival.

Nella galleria Cecchini di Perugia, espone quattro personali, negli anni ’67-’71-‘81-‘85 ed una mostra collettiva nel dicembre 1968.

Nella nativa Marsciano, espone nel 1973 una personale alla  galleria L’Approdo, che lo vede presente anche in due successive mostre collettive, nel 1974 e nel 1976.

Con le sue personali spazia per l’Umbria, nel 1971 è al Salone delle esposizioni dell’Ente provinciale per il turismo di Terni e l’anno dopo a Todi, presso la Sala delle Pietre nel palazzo del Popolo.

Nel 1978 fa dono al neoeletto Papa Giovanni Paolo II di due sculture, un volto di Cristo e una Pietà, in terracotta patinata che verranno collocate nella galleria d’arte moderna dei Musei Vaticani a Roma.

Nel 1979 è nominato Accademico di Merito dall’Accademia delle Belle Arti “Pietro Vannucci”di Perugia.

La sua intensa attività espositiva, che in alcuni anni diventa quasi febbrile, vedendolo impegnato sul fronte di più mostre quasi simultanee, ci restituisce una singolare figura di artista, profondamente innamorato del proprio lavoro, ispirato da un entusiasmo e da una passione per l’arte che non l’abbandonano mai sino alla morte, avvenuta a Perugia 16 luglio 1989, dopo un periodo di lunga malattia.

“…l’immenso amore che nutro per quest’arte”


La passione per il disegno mi cominciò alla fine delle elementari, prima lo detestavo.

I primi contatti con l’arte li ebbi con lo scultore Pietro Guaitini che presso le Fornaci Briziarelli di Marsciano eseguiva decorazioni in terracotta per cappelle funerarie, chiese , palazzi. Mi sentii subito trasportato a modellare dapprima cose semplici come foglie, fregi decorativi. A sedici anni frequentai l’Istituto d’Arte “Bernardino di Betto” di Perugia nella sezione del marmo e della pietra (per la plastica ebbi come insegnate il Prof. Benedetto D’Amore e come compagno di classe Leoncillo Leonardi di Spoleto, mio caro amico).

Diplomato andai a Firenze per studiare dal vero le opere di Michelangelo, che sempre ammiro come lo scultore massimo e Donatello, e tra i pittori Giotto che considero il più grande, Masaccio, Leonardo da Vinci, Raffaello e tutti gli altri sommi artisti.

A quei tempi l’architettura non mi affascinava. Tornato al mio paese, presi l’insegnamento del disegno nella scuola media e mi misi a modellare i volti di molti ragazzi miei allievi e a far loro ritratti anche a matita. Progettai e modellai un altare per la parrocchiale di Marsciano dedicato alla Vergine e varie cappelle funerarie per il cimitero.

La sera, dopo cena, disegnavo nel mio studio anatomia con i modelli, e feci questo per cinque anni, tutte le sere, perché sentivo l’impellente desiderio di conoscere il corpo umano in tutti i suoi particolari e in tutti i suoi molteplici movimenti, per poi riprodurlo nelle mie sculture senza l’ausilio del modello, altrimenti non si può dare al lavoro quella vivezza, quella spontaneità e quell’armonia necessaria per un’opera d’arte.

Qui debbo ricordare il Prof. Luigi Pompilj di Spoleto che tanta parte ebbe nella mia vita. Era venuto una prima volta a Marsciano quale Commissario agli esami della Scuola Media era un uomo coltissimo e molto aperto a tutte le arti, mi prese fin dall’inizio in forte considerazione e debbo dire che devo molto a Lui che mi inculcò ancor più l’amore per il bello e per le arti tutte.

E’ stato il mio vero maestro e il mio vero amico.

Per ampliare la mia conoscenza dell’arte ho visitato tutti o quasi tutti i musei e i monumenti d’Italia, poi, per avere un quadro più completo dell’arte tutta sono andato a visitare gli altri Paesi, perché studiando l’opera d’arte sui libri non si ha mai quella sensazione di completezza e non si prova quell’emozione che si ha vedendola dal vero.

Essere a contatto con un’opera d’arte ci si sente talvolta così fortemente turbati che si rimanelì impietriti senza avere la forza di distaccarsene; tanto è il fascino che emana; ci ritorni e ritorni ancora ad ammirarla e ogni volta hai nuove sensazioni e un nuovo godimento.

Ho avuto modo di vedere Velázquez, El Greco, Goja (grandi mostri di genialità), i fiamminghi che furono i precursori della pittura di paesaggio, il grande Grünewald con le sue “Crocifissioni” di una tragicità che va al di là dell’umano dolore, che viene trasmessa a colui che guarda l’opera e lo fa soffrire, meditare e godere insieme.

Ho veduto varie volte le opere dell’Impressionismo francese, il movimento più rivoluzionario e felice nella storia della pittura.

Non potrò mai dimenticare Monet che in una visione di pura luce e puro colore dissolve le forme.

Ho ammirato i Post-impressionisti con Gauguin e Van Gogh che con i suoi colori dissonanti e arbitrari, sembra piuttosto generare una luce propria.

Ho scoperto poi gli espressionisti tedeschi: Nolde dal colorismo potente, Klimt, e l’austriaco KokoschKa con le sue forme spezzate e scheggiate che lacerano con violenza la composizione.

Dello svedese Munch avevo visto nel 1974 a Parigi una sua grande mostra di altissimo livello e nel 1985 l’ho rivisto a Milano in una Mostra al Palazzo Reale e al Palazzo Bagatti Valsecchi, mostra più ricca di opere di quella parigina comprendente anche la grafica (la produzione grafica di Munch occupa una posizione particolare dal punto di vista quantitativo come da quello qualificativo). Le sue opere sono impregnate di un suggestivo misticismo erotico. Le sue immagini sono tratte dalla vita spirituale e affettiva dell’uomo, vista innanzitutto in rapporto all’amore e alla morte.

Picasso l’ho studiato a lungo a Barcellona e nei miei frequenti viaggi a Parigi, lo considero l’artista che maggiormente ha contribuito alla rivoluzione dell’arte moderna.

Ammiro molto anche Chagall dai soggetti fantastici e Kandiskij dallo stile anti-naturalista basato su colori accesi, miranti a sprigionare una carica di pura emotività.

Mi sono dilungato molto a parlare della pittura ed ho trascurato la scultura e l’architettura che amo in egual misura.

Della scultura ammiro molto quella delle antiche civiltà: l’Egiziana e l’Assiro Babilonese e l’arte greca  del periodo Arcaico, ma ho una predilezione per l’arte romanica tutta e l’arte gotica di Giovanni Pisano che nella facciata del Duomo di Siena preannuncia il grande genio di Caprese, e per Iacopo Dalla Quercia che dalla tomba di Ilaria del Carretto si sprigiona ancor oggi una vibrante intensità di vita.

Negli ultimi tempi i nomi degli scultori non sono in numero eccessivo come sono i pittori. Ma che dire di Rodin, Medardo Rosso, Arturo Martini, Henrj Moore e Marino marini di cui mi piacciono le opere che vanno fino al 1955, dopo lo trovo un po’ forzato?

Visitando i vari Paesi ho avuto modo di ricredermi sull’architettura che nell’età giovanile avevo un po’ trascurato.

Ora posso dire che delle tre arti: Architettura, Scultura e Pittura, la prima è quella che tiene il campo. Basta saperla capire, studiarla, penetrarla per comprendere il mistero che racchiudono le piramidi di Gizah, i templi di Paestum, il Colosseo, Firenze tutta, Piazza S.Pietro, le cattedrali gotiche doltr’Alpi, le piramidi dei Maya, i templi cinesi. Sono tutte opere che più le guardi e più t’inchiodano ad ammirarle e mai vorresti allontanarti da loro perché emanano una magia tale che ti dà sensazioni mirabili, come una cascata, un tramonto sul lago, il Monte Bianco da l’Aiguille du Midi in una giornata di sole.

Antonio Ranocchia

(Antonio Ranocchia, Catalogo delle opere, Grafiche Spaccini, Marsciano 1986)